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Quando si parla di disturbo neurologico bisogna sempre pensare che questi possono presentare dei sintomi evidenti. Tra quelli principali, troviamo i disturbi del movimento e quelli sensoriali che riguardano il sistema nervoso.
Entrambe le tipologie di sintomi compromettono le normali attività quotidiane dell’individuo che ne soffre, in quanto possono risultare debilitanti. Tra i sintomi principali dei disturbi neurologici funzionali troviamo la forte debolezza, tremori, paralisi agli arti, perdita di sensibilità, convulsioni, cecità, allucinazioni e crisi epilettiche, queste ultime attribuibili a disturbi motori funzionali (o movement disorders).
Sebbene siano molto spiacevoli, i sintomi possono mettere subito in allerta il soggetto o i suoi familiari, in modo da poter intervenire immediatamente, recandosi dal medico specialista per una diagnosi.
La diagnosi viene effettuata tramite l’anamnesi del paziente, alla quale segue un esame per determinare se questi sintomi sono effettivamente collegabili a un disturbo neurologico, oppure si tratta semplicemente di casi di somatizzazione.
Quando l’esame stabilisce che un soggetto soffre di un disturbo neurologico funzionale, si procede con il prescrivere la psicoterapia o una terapia cognitivo comportamentale. Nel secondo caso invece, i sintomi possono dipendere da un periodo estremamente stressante che l’individuo sta vivendo, così come da un trauma. Ad esempio, alcune persone in periodi di forte stress vengono afflitte da una costante debolezza, così come da fastidi a livello corporeo come nodi alla gola, tic nervosi e dolori. In questo caso si parla anche di disturbo di conversione, in quanto il disturbo mentale può essere convertito dal paziente in un disturbo fisico.
Ci sono anche malattie neurologiche per le quali non esiste una cura, come ad esempio la malattia di Parkinson. I pazienti affetti dal Parkinson soffrono di un costante tremore anche a riposo, rigidità, lentezza e diminuzione dei movimenti, il Morbo di Parkinson è una malattia neurologica degenerativa che colpisce persone dai 40 agli 80 anni di età.
Solitamente, per studiare i disturbi neurologici funzionali occorre iscriversi all’università di medicina e specializzarsi in psichiatria. Molti neolaureati continuano gli studi con un master, oppure con un dottorato di ricerca.
E a proposito di ricerca, in Italia gli studi sui disturbi neurologici funzionali. Secondo il gruppo di ricercatori, i disturbi caratterizzati da sintomi di natura motoria o sensitiva non causati da danni organici o malattie, possono essere legati all’effetto placebo e nocebo. L’effetto placebo avviene quando un paziente avverte benefici da una cura che non ha alcun tipo di proprietà effettiva. Ad esempio, un paziente può assumere un farmaco che non ha alcun effetto sul suo disturbo, ma sentirsi meglio, perché “crede” che il farmaco sia efficace. Al contrario, l’effetto nocebo è praticamente la realizzazione che un farmaco inefficace sia effettivamente inutile, portando il paziente in uno stato di angoscia e sofferenza, in quanto può credere che non ci sia alcun rimedio per la sua condizione.
Secondo il team di ricercatori coordinato da Mirta Florio e il docente di neurologia Michele Tinazzi, l’effetto nocebo possono aggravare i sintomi, in quanto l’ansia del paziente cresce portando disturbi motori e sensoriali. Paura, ansia e stress sono condizioni molto comuni nei pazienti affetti da sintomi a causa dell’effetto nocebo, quindi è possibile intervenire a livello comunicativo. Ad esempio, un medico può cercare di creare le giuste aspettative nel paziente, cercando di ridurre l’impatto delle aspettative negative.
I soggetti che soffrono di sintomi da disturbo neurologico funzionale duraturi e costanti, si rivolgono ad uno psicoterapeuta cognitivo comportamentale che può aiutare a gestire le emozioni intense derivate dall’ansia, lo stress o il senso di colpa.
La psicologia cognitivo comportamentale si approccia al paziente, cercando di individuare a causa dei disturbi nei comportamenti e nei pensieri quotidiani. La terapia comportamentale quindi, aiuta il paziente a trovare nuovi modi di reagire alle situazioni difficili, attraverso esercizi mentali e fisici che permettono di rilassarsi e prendere decisioni.
La terapia cognitiva invece, scava nei pensieri del paziente, cercando quelli ricorrenti e individuando schemi di ragionamento o di interpretazione della realtà. A livello mentale, molti pazienti possono trovarsi in difficoltà e soffrire di stress quando magari un suo schema di ragionamento o di visione del mondo viene sconvolto, non necessariamente da avvenimenti traumatici, ma anche da semplici cose che succedono nella vita quotidiana.
Proprio il fatto che la terapia cognitivo comportamentale si concentri sul “qui ed ora”, permette di sfruttare tutte le risorse del paziente, permettendogli di individuare il modo giusto di affrontare le situazioni. Lo psicoterapeuta può suggerire delle strategie, senza però ricorrere ad un analisi costante degli avvenimenti passati. Allo stesso modo, questo tipo di terapia è solitamente a breve termine, quindi i terapeuti solitamente cercano di ottenere buoni risultati dai pazienti in poco tempo.
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