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Cosa serve per diventare ingegnere? 

Cosa serve per diventare ingegnere? 

Cosa serve per diventare ingegnere?  Lavorare nel campo dell’ingegneria richiede una laurea, d’altronde si parla di un mestiere tecnico, dove occorre una grande quantità di competenze e conoscenze. Dato che gli ingegneri sono molto ricercati in diversi campi lavorativi, chi ha una buona predisposizione per le materie tecniche solitamente si iscrive alla facoltà di ingegneria, in modo da poter trovare un impiego subito dopo la laurea.  Per diventare ingegnere quindi, occorre laurearsi in ingegneria. Le facoltà di ingegneria sono molto diffuse in tutta Italia, quindi occorre solo scegliere quella giusta in base alle proprie preferenze. Oltretutto, alcune facoltà telematiche con corsi in ingegneria permettono di studiare direttamente da casa. La specializzazione è fondamentale per gli ingegneri Prima di decidere a quale università iscriversi è opportuno tenere conto dell’offerta formativa, del piano di studi e se si studia fuori sede, anche dei costi della vita e dell’affitto della città dove ci si vuole trasferire per studiare.  Ora, il primo passo è ovviamente conseguire la laurea triennale, tenendo conto del fatto che per avere maggiori possibilità di trovare lavoro è necessaria la laurea magistrale. Quindi, dopo aver ottenuto la laurea triennale, bisogna continuare la carriera universitaria per altri 2 anni. Per questo, gli studenti di ingegneria cercano solitamente di portare a termine il percorso completo in 5 anni precisi, cercando di limitare gli anni fuori corso a 1 o 2 anni massimo.   Dopo aver preso la laurea magistrale, si può decidere se diventare liberi professionisti, oppure lavorare come dipendenti. Nel primo caso, occorre ottenere l’abilitazione per svolgere la libera professione e iscriversi all’ordine professionali degli ingegneri. Per potersi iscrivere, bisogna affrontare un esame di stato. L’esame di stato si può affrontare sia con la laurea magistrale, sia con quella triennale.  Le lauree triennali in ingegneria  Parlare di laurea in ingegneria è un po’ generico, in quanto ci sono diverse aree e specializzazioni tra le quali scegliere. La più “gettonata” e conosciuta è la laurea triennale in Ingegneria Civile e Ambientale, ovvero quella che permette di ottenere delle conoscenze nella progettazione di strutture ed edifici.   Tra le lauree triennali, troviamo anche Ingegneria dell’Informazione, molto richiesta in quanto permette di specializzarsi in diversi ambiti, come ad esempio ingegneria informatica, elettronica e delle telecomunicazioni. Si tratta di un indirizzo che consente ai neolaureati di affacciarsi ad un mondo del lavoro in continua crescita.  Infine troviamo ingegneria industriale, legata prevalentemente alla progettazione di sistemi meccanici e industriali, come ad esempio macchinari e tanto altro. L’ingegneria industriale è spesso legata al mondo dei brevetti, nel quale sono spesso richiesti ingegneri brevettuali.  Le specializzazioni in ingegneria  Spesso, gli studenti di ingegneria con laurea triennale, si trovano a dover scegliere tra diverse specializzazioni per la laurea magistrale. Una delle specializzazioni più ambite, ma allo stesso tempo difficili è ingegneria Aerospaziale e Astronautica. A seguire, troviamo Ingegneria Navale, Ingegneria Biomedica e Ingegneria Energetica e Nucleare.   È anche possibile continuare gli studi in Ingegneria Civile, oppure in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio. Come già detto in precedenza, Ingegneria Informatica è molto ambita specialmente dai nuovi studenti.   In generale, per la scelta della specialistica occorre tenere conto dei propri interessi, ad esempio uno studente appassionato di computer, sarà sicuramente predisposto per specializzarsi in ingegneria informatica. Le specializzazioni in ingegneria permettono di trovare velocemente lavoro, gli studenti però devono cercare di capire se in futuro vogliono diventare liberi professionisti o dipendenti.   Ci sono alcune specializzazioni, come ad esempio Ingegneria Informatica che permettono di trovare lavoro in aziende e lavorare nel settore del IT. Gli ingegneri civili o elettrici, spesso trovano più facilmente lavoro come liberi professionisti.   Cosa fa un ingegnerie? Ma cosa fa esattamente un ingegnere? Dipende ovviamente dalla sua specializzazione. Un ingegnerie civile, edile o ambientale pianifica e progetta strutture civili, oltre ad opere infrastrutturali. Può anche progettare opere di difesa del suolo, come ad esempio una diga.   L’ingegnere informatico si occupa di programmare software e progettare componenti hardware per computer, oppure applicazioni per il web o multimediali.   L’ingegnere meccanico è legato al mondo dell’industria automotive, inoltre come si evince dal nome, può progettare anche attrezzature meccaniche e quindi lavorare in altri campi.   L’ingegnere gestionale è molto richiesto nelle aziende e nelle fabbriche, in quanto progetta il sistema produttivo, la logistica interna ed esterna e i fattori della produzione.   Specializzati per trovare il lavoro migliore! In generale quindi, il lavoro da ingegnere è molto impegnativo in qualsiasi campo, ma può dare enormi soddisfazioni in quanto permette di fare pienamente parte dei processi produttivi di un settore. Oltretutto, dato che il lavoro di ingegnere richiede costanti aggiornamenti, molti neolaureati e professionisti, seguono corsi di specializzazione e Master, per poter accrescere le loro conoscenze e le loro abilità sul lavoro. ...

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Perché è importante il turismo responsabile? 

Perché è importante il turismo responsabile? 

Perché è importante il turismo responsabile?  Di questi tempi la parola “sostenibile” è all’ordine del giorno, in quanto bisogna cercare di arginare il cambiamento climatico in tutti i modi possibili. Ad esempio, si può pensare di salvaguardare l’ambiente attraverso un uso più oculato degli elettrodomestici, con la raccolta differenziata o tramite l’uso di veicoli elettrici.   Allo stesso modo, si può pensare ad un modo alternativo di fare turismo. Ed in effetti, molti si fanno questa domanda: cos’è il turismo responsabile? Ebbene, il turismo sostenibile e responsabile si basa sulla consapevolezza dell’impatto ambientale, sociale ed economico che le persone possono avere su un luogo. Fondamentalmente, il turismo responsabile si oppone al turismo di massa che negli ultimi anni è stato predominante.   Turismo sostenibile e turismo di massa  Il turismo di massa si concentra su luoghi molto conosciuti, dove in determinati periodi dell’anno si ammassano tantissime persone. Per fare esempi legati all’Italia, città come Firenze e Venezia vengono letteralmente prese d’assalto da turisti provenienti da ogni paese. Allo stesso modo, località come la Sardegna con le sue bellissime spiagge, sono impraticabili in estate in quanto piene di turisti.   Ovviamente, il turismo di massa può diventare una colonna portante per l’economia di un luogo. Basta pensare alla riviera romagnola, con città come Rimini e Riccione dove il turismo permette a tantissime persone di lavorare.  Il problema principale del turismo di massa consiste nel suo forte impatto ambientale, specialmente nei luoghi naturali.   Perché il turismo di massa è negativo per l'ambiente? Le grandi masse di turisti si compongono di persone che hanno una consapevolezza ambientale e altre che invece tendono ad ignorare le regole, anche quando queste sono ampiamente segnalate.   Ad esempio, nelle spiagge ci sono persone che non raccolgono i rifiuti, genitori che permettono o addirittura spingono i loro bambini a catturare la fauna marina e così via.   Quindi se da una parte il turismo di massa sostiene l’economia di alcuni luoghi, dall’altra contribuisce a inquinare ancora di più l’ambiente. Oltre all’ambiente, bisogna anche considerare che i luoghi affollati da turisti, spesso risultano invivibili per gli abitanti. Per questo si stanno cercando dei modi per creare un settore turistico sostenibile e responsabile.   I vantaggi del turismo sostenibile  Al contrario, il turismo sostenibile opera favorendo la positiva interazione tra persone, cultura e ambiente, sensibilizzando i turisti verso viaggi in luoghi poco frequentati, lontani dalle solite mete. Questo ovviamente ha dei risvolti positivi, non solo per l’ambiente, ma anche per l’economia dei paesi meno gettonati a livello turistico. Il turismo crea sempre nuovo lavoro, quello di tipo sostenibile però punta ad un benessere economico equilibrato, lontano dai canoni aggressivi (ed inquinanti) del capitalismo sfrenato.  Evitando di contribuire al sovraffollamento, si salvaguarda l’ambiente scoprendo tra l’altro luoghi nuovi che possono sorprendere con la loro bellezza. Il turismo sostenibile inoltre propone soluzioni ecologiche sia per la mobilità, sia per le fonti energetiche, puntando su un approccio plastic-free.  Allo stesso modo, il turismo sostenibile tutela il patrimonio storico e sociale di un luogo, così come quello artistico e culturale. Chi viaggia in modo sostenibile, si dimostra aperto mentalmente verso culture diverse e accetta di doversi adattare allo stile di vita della comunità locale ospitante. Di conseguenza, una popolazione locale può accogliere turisti in relazione al loro territorio, senza le sue abitudini.  Per fare un esempio, un piccolo paese non dovrà puntare all’improvviso sull’apertura di boutique e negozi, ma potrà mantenere il suo stile di vita. Questo però non succede solo nei luoghi incontaminati. Basta pensare a Bologna, una città diventata da poco una meta turistica, basandosi sulla gastronomia. La città ha visto la chiusura di diversi centri culturali e negozi, per favorire l’apertura di ristoranti e fast food.   Il turismo sostenibile: le regole da rispettare  L’Italia è uno dei paesi più visitati al mondo, per questo il paese sta cercando di avvicinarsi sempre di più a pratiche di turismo sostenibile. Ad esempio, nelle città e nei paesi più visitati vengono adottate soluzioni plasti-free e non inquinanti.   Allo stesso modo, si sta promuovendo il turismo verso regioni e città finora poco visitate. Mantova è un chiaro esempio di città sostenibile, dato che ha puntato molto sul verde e sulla mobilità.  Ovviamente, le regole del turismo sostenibile vanno seguite soprattutto dalle persone, inoltre è possibile anche seguire dei Master Euroinnova per specializzarsi, in modo da poter lavorare nel campo del turismo e cercare di proporre soluzioni alternative.   Le regole per il turismo sostenibile sono abbastanza semplici, ma bisogna avere la forza di volontà e il buon senso per rispettarle. Ad esempio, si può decidere di spostarsi con un veicolo elettrico, riciclare i rifiuti, non disturbare la fauna del luogo, evitare di portare via elementi naturali e ovviamente rispettare la cultura del luogo.   In alcuni posti, come ad esempio in Sardegna, vengono fatte multe salate a chi porta via la sabbia o le rocce dalle spiagge. In generale quindi, si può notare un movimento verso questo tipo di turismo, sebbene ci sia ancora da risolvere il problema del sovraffollamento in quei luoghi “leggendari” che ovviamente sono visitatissimi ogni anno.   ...

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Qual è la differenza tra l'agricoltura intensiva ed estensiva? 

Qual è la differenza tra l'agricoltura intensiva ed estensiva? 

Qual è la differenza tra l'agricoltura intensiva ed estensiva? L’agricoltura intensiva ed estensiva sono due differenti sistemi agricoli per la produzione di colture. Nel corso degli ultimi anni, l’agricoltura estensiva si è spesso contrapposta a quella intensiva concentrata sull’efficienza produttiva. Ed effettivamente, l’agricoltura intensiva, come si può evincere dal nome, si basa sull’ottenere il massimo della produttività ed efficienza, per migliorare sistemi di colture e sfamare così la popolazione in crescita. Come tutte le attività incentrate sulla produttività, anche l’agricoltura intensiva non è un sistema sostenibile, a differenza di quella estensiva che invece promuove produzioni locali e pratiche agricole diversificate. La differenza tra agricoltura intensiva ed estensiva quindi sta nella massima efficienza contro la sostenibilità. In realtà però le cose non sono così semplici, per questo è bene conoscere vantaggi e svantaggi sia dell’una, sia dell’altra. Se volete saperne di più sull'agricoltura intensiva e su quella estensiva e sulle loro differenze, restate sintonizzati su questo post, ve ne parleremo! Vantaggi e svantaggi dell’agricoltura intensiva Vantaggi Come abbiamo detto, l’agricoltura intensiva si basa su produzione per unità su larga scala, quindi uno dei suoi vantaggi principali sta proprio nella sua efficienza. Questa efficienza si traduce sia in una maggiore quantità di prodotti per una popolazione in crescita, sia in posti di lavoro. Dall’agricoltura intensiva inoltre ne possono beneficiare anche altri settori, come ad esempio quello dei macchinari da lavoro, assolutamente necessari per poter lavorare su terreni sempre più grandi. Le grandi estensioni di terreno, dell’agricoltura intensiva generano anche una maggiore occupazione, garantendo posti di lavoro per braccianti e per personale qualificato con una laurea in agraria. Svantaggi Tra gli svantaggi, il primo è ovviamente l’impatto ambientale. I grandi territori, l’uso di macchinari e la produzione intensiva generano inquinamento, cosa che di questi tempi non è molto positiva. Inoltre, se da una parte questo tipo di agricoltura produce, dall’altra può essere poco inclusiva verso i paesi più poveri. Vantaggi e svantaggi dell’agricoltura estensiva Vantaggi L’agricoltura estensiva si rivela molto più adatta ai tempi moderni, nei quali occorre combattere il cambiamento climatico con ogni mezzo possibile. I vantaggi di questo tipo di agricoltura sono prima di tutto un uso ridotto dei macchinari e dei mezzi agricoli che si traduce in un minore impatto ambientale. Allo stesso modo, il suolo non subisce lavorazioni intensive e di conseguenza, piante e animali possono coesistere. Il basso uso di sostanze chimiche come fertilizzanti e insetticidi, si rivela più ecologico e permette di coltivare prodotti biologici più sani. Svantaggi D’altra parte, sebbene l’agricoltura estensiva sia preferibile a quella intensiva, questa non è ancora in grado di produrre in modo da soddisfare il fabbisogno della popolazione globale. Inoltre, sostenere un sistema agricolo estensivo e allo stesso tempo redditizio è molto difficile, questo perché proprio la natura più “green” di questo tipo di agricoltura, porta ad un utilizzo limitato di macchinari e di forza lavoro. Agricoltura intensiva ed estensiva: una scelta difficile Da un certo punto di vista, l’agricoltura estensiva è sicuramente una soluzione più positiva verso l’ambiente di quella intensiva. Il problema però è che la popolazione mondiale ha raggiunto un numero tale da rendere le pratiche intensive necessarie. Bisogna anche pensare che il settore dell’agricoltura di tipo intensivo dà lavoro a tantissime persone, cosa che invece nei sistemi estensivi non accade, in quanto la forza lavoro richiesta è minore. L'ambiente, un fattore chiave da tenere in considerazione La soluzione quindi non è semplice, ma quando si parla di ambiente non lo è mai. Da una parte troviamo la volontà di ridurre l’impatto ambientale, dall’altra invece occorre fare i conti con una sorta di processo di crescita demografica che sembra irreversibile, così come con paesi con un’economia meno sviluppata dove l’agricoltura è praticamente la principale fonte di reddito (e di cibo) degli abitanti. In realtà però, i tipi di agricoltura biologici, se sfruttati adeguatamente in base al clima del luogo e alle sue risorse, possono comunque arrivare a ottimi livelli produttivi, tra l’altro con un impatto minimo sull’ambiente. C’è anche da dire che le agricolture estensive si possono sviluppare in maniera autoctona, senza dover necessariamente ricorrere all’aiuto di influenze esterne che spesso possono portare a costi molto elevati. Le risorse umane, altro fattore importante Per quanto riguarda le risorse umane, se con l’agricoltura intensiva si aprono più posti di lavoro, dall’altra parte c’è anche un alto rischio di sfruttamento del personale, con braccianti assunti senza contratto e pagati in nero (come spesso avviene anche qui in Italia) che vivono in condizioni precarie. Un tipo di agricoltura estensiva, fatta sul posto, può creare lavoro in modo sostenibile che è proprio ciò di cui il pianeta e l’umanità ha probabilmente bisogno. Per gli esperti comunque, non esiste ancora una risposta sul tipo di agricoltura migliore da usare. Il punto è che si dovrebbe arrivare ad una soluzione che unisce la produttività delle agricolture intensive, con il rispetto per l’ambiente di quelle estensive. Offerta formativa che ti potrebbe interessare Se anche tu vuoi formarti come agricoltore specializzato, non dimenticare di iscriverti a Euroinnova Formazione! MASTER SCIENZE NATURALI: Master in Scienze Naturali ...

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Quali sono gli elementi che caratterizzano l’architettura romanica

Quali sono gli elementi che caratterizzano l’architettura romanica

Quali sono gli elementi che caratterizzano l’architettura romanica Gli elementi che caratterizzano l’architettura romanica si dividono in tre periodi diversi che vanno dal primo romanico nell’anno 1000, passando per una fase intermedia dal 1080 al 1150, raggiungendo il culmine nel 1250, quando il Gotico francese stava cominciando a prendere piede in Europa.   Con l’arrivo del Gotico, molti edifici civili realizzati seguendo lo stile romanico, furono completamente stravolti per venire adattati alle nuove esigenze stilistiche. Questo però non successe agli edifici religiosi, grazie ai quali è stato possibile studiare le i vari elementi strutturali dell’architettura romanica.  Come detto in precedenza, nonostante lo stile romanico presenti caratteristiche diverse in ogni nazione, ci sono alcune caratteristiche fondamentali che accomunano le varie opere.  Gli interni  Ad esempio, nella costruzione degli interni, si può individuare facilmente l’uso dell’arco a tutto sesto, ovvero un arco retto da due piedritti sospeso su uno spazio vuoto. Sempre negli interni, l’architettura romanica presenta una divisione in campate e della navata centrale.   Le murature solide e robuste sono realizzate con pietra da taglio o mattoni. Alla struttura si uniscono ad arcate aperte e l’alternanza tra colonne e pilastri. La copertura varia tra quella a volta e quella capriata, oppure con serie di cupole come in alcuni edifici italiani.   Gli edifici religiosi romanici si distinguono anche per le finestre di dimensioni ridotte, realizzate in questo modo per creare una luminosità tenue e spirituale che concilia la preghiera. Le finestre sono state allargate con lo stile Gotico.   Gli esterni  Per quanto riguarda gli esterni, nell’architettura romanica è possibile distinguere alcuni elementi specifici. Le murature esterne, come quelle interne, sono trattate plasticamente con arcate, lesene e nicchie. La struttura esterna viene spesso abbellita con bassorilievi o sculture in stile romanico. La facciata presenta un portale definito, sormontato da un rosone. La struttura principale può essere affiancata da una torre o da due torri, a seconda della regione. Ad esempio in Italia è frequente l’uso del rosone, come si può vedere nella Basilica di San Zeno a Verona, mentre in Francia sono più comuni le strutture con torri.   Esempi di architettura romanica  Molti esempi di architettura romanica si possono osservare in Normandia, dove nel XI secolo Guglielmo il Conquistatore aveva avviato la costruzione di diversi edifici religiosi, come ad esempio la chiesa romanica di Notre Dame a Jumièges o l’abbazia di Mont-Saint-Michel.   Guglielmo il Conquistatore portò lo stile romanico anche in Inghilterra, costruendo diverse cattedrali come quella di Winchester, Norwich e Durham.   In Spagna In Spagna, l’architettura romanica si sviluppò prevalentemente nel sud, in quanto nel XI le regioni settentrionali della penisola Iberica, stavano vivendo un forte impulso religioso a seguito della Reconquista: la sanguinosa guerra per riprendere i territori conquistati dai mori. Pertanto, uno degli edifici più importanti è la basilica di San Giacomo di Compostela, caratterizzata dalla fusione dello stile romanico e gotico.    In Italia L’architettura romanica in Italia si è sviluppata anche nel sud della penisola. Tra gli edifici più importanti occorre menzionare la Basilica di San Nicola a Bari. L’edificio è uno degli esempi più importanti dell’architettura romanica nell’Italia meridionale, in quanto ne presenta tutte le caratteristiche principali, unite ad elementi del cosiddetto romanico pugliese.    Nell’Italia settentrionale troviamo la basilica di San Miniato al Monte di Firenze, costruito seguendo lo stile romanico fiorentino, caratterizzato dall’utilizzo dell’arco a tutto sesto, poggiato su semicolonne.   Come nasce l’architettura romanica  L’architettura romanica si sviluppò in Europa tra il XI e il XII secolo, ma il termine “romanico” usato per definire lo stile architettonico e artistico, nacque solo nell’ottocento. Nello specifico, “romanico” è l’adattamento italiano del vocabolo francese “roman”, usato per indicare le lingue e le letterature romanze, ovvero quelle sviluppate dal ceppo linguistico del latino.    Questo stile architettonico appartiene all’arte romanica, nella quale è possibile individuare stili di pittura e scultura a tema religioso, spesso rappresentanti scene del giudizio universale o la vita dei Santi.   Come si evince dal nome, l’architettura romanica si ispira a quella romana. Nel XI il fascino per gli edifici lasciati dall’ormai caduto Impero Romano, suscitavano un grande fascino, specialmente in Francia, dove i feudatari più potenti investivano ingenti somme di denaro nella costruzione di edifici religiosi e non solo.   L’edilizia medioevale si sviluppò anche a seguito di un forte incremento demografico e dello sviluppo tecnologico, specialmente nell’agricoltura e sul fronte bellico. Proprio per la frammentazione del potere, in Francia ogni feudatario aveva un suo esercito che richiedeva fortezze, castelli e roccaforti.   Lo stile romanico però, si estese anche in Spagna, Germania, Inghilterra e Italia. In ogni nazione, l’architettura romanica si sviluppò con caratteristiche diverse, cambiando materiali, forme e schemi costruttivi che andavano a variare gli elementi “principali” dell’architettura romanica.    L’architettura romanica fu poi sostituita dal gotico nel XII secolo, sebbene in alcune regioni si continuò ad adoperare il romanico, o come definito dagli studiosi, il neoromanico.   Volete saperne di più sull'architettura romanica? Ti ricordiamo inoltre che su Euroinnova puoi trovare Master in architettura che ti permettono di specializzarti ed entrare più facilmente nel mondo del lavoro. ...

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Qual è la funzione di un antibiotico?

Qual è la funzione di un antibiotico?

Gli antibiotici sono farmaci specifici utilizzati per contrastare e curare le infezioni causate da batteri. Nello specifico, gli antibiotici sono sostanze in grado di agire contro i batteri gram positivi o gram negativi, ovvero due tipologie di batteri che seguono la colorazione di Gram, un esame di laboratorio messo a punto nel 1884 proprio per distingue le due categorie di batteri. Come altri farmaci, gli antibiotici si possono assumere per via orale, endovenosa o applicati localmente attraverso pomate o lozioni. L’azione di un antibiotico varia a seconda della sua tipologia, sebbene in generale tutti gli antibiotici annientano o inibiscono i processi vitali dei batteri, come ad esempio la sintesi proteica e la riproduzione cellulare, cause principali della diffusione dell’infezione. Quando e perché si prende un antibiotico? Per quanto riguarda le terapie antibiotiche, queste dipendono dal tipo di infezione e dalla sua gravità, inoltre possono variare da paziente a paziente. In generale, l’antibiotico viene prescritto dal medico dopo una visita, infatti questi farmaci si possono acquistare in farmacia presentando la ricetta medica. Solitamente, gli antibiotici possono essere assunti per diversi giorni o per settimane, in modo da eliminare i batteri. La terapia però non deve avere una durata troppo lunga, in quanto può rendere i batteri resistenti all’azione degli antibiotici. Di conseguenza, il paziente non dovrà mai assumere antibiotici per una durata della terapia superiore a quella prescritta dal medico. I batteri che sviluppano una resistenza agli antibiotici diventano più difficili da combattere, quindi potrebbero richiedere trattamenti con altri farmaci o con terapie più invasive. In generale quindi, è sempre consigliato fare un uso responsabile degli antibiotici, consultando sempre il medico prima di assumerli. Allo stesso modo, gli antibiotici non devono essere presi per curare malattie come febbre, raffreddore o influenza che invece si possono contrastare con farmaci specifici. Le classi di antibiotici Quando si parla di antibiotici, occorre fare una distinzione tra le diverse classi, ognuna delle quali viene utilizzata per curare una specifica infezione. Penicilline Tra gli antibiotici più comuni troviamo le penicilline usate per la maggior parte delle infezioni non gravi. Queste sono in grado di interferire con la sintesi della parete cellulare batterica e causarne la morte, eliminando così l’infezione. La penicillina G e la penicillina V sono le tipologie più conosciute di questa classe. Per le infezioni più gravi si utilizzano le cefalosporine, antibiotici molto simili alle penicilline, ma che si rivelano più efficaci. Macrolidi Per combattere le infezioni respiratorie come la polmonite, vengono prescritti gli antibiotici della classe dei macrolidi come l’azitromicina, mentre per le infezioni del tratto urinario e della pelle si preferiscono i fluorochinoloni. Altri antibiotici Altre classi di antibiotici come i glicopeptidi e le tetracicline vengono utilizzate per infezioni causate da batteri particolari, specialmente quando resistenti ad antibiotici di altre classi. Per approfondire la conoscenza sulle classi di antibiotici, molti medici specialisti e farmacisti, seguono dei master specifici, come quelli proposti da Euroinnova. Gli effetti collaterali degli antibiotici Come ogni farmaco, anche gli antibiotici possono causare degli effetti collaterali. Questi si possono verificare in maniera lieve, grave o anche non verificarsi. Quando gli effetti collaterali sono di grave entità, occorre subito avvisare il proprio medico che potrà decidere se cambiare antibiotico per combattere l’infezione batterica. Gli effetti collaterali più comuni causati dagli antibiotici sono i disturbi gastrointestinali, come nausea, vomito e diarrea. In generale, si tratta di effetti collaterali passeggeri che passano subito dopo la fine del trattamento. Allo stesso modo, tra gli effetti meno gravi, troviamo reazioni cutanee che scompaiono autonomamente o che si possono trattare con pomate specifiche. Le allergie agli antibiotici vanno solitamente comunicate al medico. Tra gli effetti collaterali più gravi troviamo le difficoltà respiratorie e i danni al fegato. Gli antibiotici infatti possono causare ittero (ingiallimento degli occhi e della pelle), affaticamento e dolore addominale. Inoltre, alcune classi di antibiotici possono anche influire sul sistema nervoso, causando insonnia, confusione, convulsioni e vertigini. Questi effetti collaterali sono comunque molto rari, ma quando si manifestano, le persone devono immediatamente contattare il medico. Chi ha inventato l’antibiotico? L’invenzione degli antibiotici viene attribuita al ricercatore e medico scozzese Alexander Fleming. Nel 1928, Fleming effettuò diversi esperimenti sulla crescita dei batteri patogeni, notando che gli stafilococchi venivano annientati dalla muffa Penicillium notatum, cresciuta nella loro coltura. Proprio questa scoperta, portò alla scoperta della penicillina, il primo antibiotico usato per la cura delle infezioni batteriche. Nonostante la scoperta avvenne nel 1928, Fleming pubblicò i risultati solo l’anno dopo, permettendo ad altri ricercatori come Howard Florey e Ernst Chain di creare effettivamente la pennicilina come medicinale. Fleming ricevette il Premio Nobel per la medicina, insieme a Florey e Chain. Dalla penicillina sono stati sviluppati gli antibiotici delle altri classe che abbiamo citato nell’articolo. 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Quali sono i compiti fondamentali di un veterinario? 

Quali sono i compiti fondamentali di un veterinario?

Quali sono i compiti fondamentali di un veterinario?  Come tutti sanno, il veterinario è il “medico degli animali”, o più precisamente, il medico specialista che si occupa di curare i nostri amici a quattro zampe. Solitamente il veterinario si specializza nella cura di cani e gatti, in quanto sono gli animali da compagnia più frequenti, ma può capitare di dover visitare anche rettili o conigli.   Allo stesso modo, ci sono anche veterinari che si occupano di salvaguardare la salute di animali da allevamento o da competizione, come ad esempio le mucche o i cavalli. A dirsi è ovviamente facile, pochi sanno quali sono i compiti fondamentali di un veterinario.   Principali funzioni del veterinario  In generale, il veterinario si occupa di prevenzione e cura degli animali, quindi verifica la salute dei cuccioli e degli animali adulti. In caso di sintomi, il veterinario formula una diagnosi, spesso aiutandosi con prelevi ed esami particolari che gli permettono di trovare la cura migliore.   Come per gli esseri umani, anche gli animali possono assumere farmaci che il veterinario potrà consigliare al proprietario. Un veterinario specializzato può anche effettuare operazioni chirurgiche sugli animali    Il veterinario inoltre, fornisce le sue prestazioni anche quando un animale non è malato, infatti molte persone portano periodicamente il loro animale da compagnia a fare una visita di controllo, per vaccinazioni periodiche o per ottenere un certificato medico.   Tra i compiti di un veterinario rientrano anche la sterilizzazione, il parto degli animali e anche la soppressione di quelli molto malati o che risultano pericolosi per l’uomo o altri animali.   Infine, il veterinario può dare suggerimenti sull’alimentazione degli animali, sull’igiene e sul benessere generale, consigliando anche alimenti e accessori.   L'importanza del veterinario nelle aziende zootecniche Come detto in precedenza, il veterinario è molto importante anche per gli allevamenti. Il veterinario infatti controlla il benessere degli animali, la loro salute e la loro igiene, inoltre gestisce la riproduzione degli animali e conduce ispezioni sulle condizioni di vita degli animali.   Negli allevamenti, i veterinari prestano attenzione anche ai prodotti derivati da animali, come ad esempio latte e carne, in modo da tutelare la salute dell’uomo.   Di recente si parla molto di allevamenti sostenibili, dove il veterinario viene preso in considerazione proprio per far raggiungere agli animali il massimo del loro benessere.    Come si diventa veterinari? Prima di tutto, per diventare veterinari è richiesta una grande passione per gli animali, da quelli domestici come cani e gatti, a quelli esotici o selvaggi. Oltre a questo, un aspirante veterinario dev’essere consapevole di dover lavorare per tutelare il patrimonio faunistico e zootecnico del suo paese.   Per diventare veterinario, bisogna intraprendere un percorso di studio in Medicina veterinaria, della durata complessiva di 5 anni. Le facoltà di veterinaria, come quelle di medicina, sono a numero chiuso, quindi per potervi accedere è necessario superare un test di ingresso.  Una volta ottenuta la laurea in veterinaria è necessario affrontare un Esame di Stato per ricevere l’abilitazione. Il superamento dell’esame, permette al veterinario di iscriversi alla Fnovi (Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani). Per sostenere l’esame, non è necessario affrontare un periodo di praticantato, quindi in generale si può lavorare anche senza esperienza pregressa.  In seguito, i veterinari possono decidere se mettersi in proprio come liberi professionisti, aprendo una partita IVA e lavorando in un ambulatorio. Altrimenti, può lavorare come dipendente privato o pubblico. Come tutte le professioni, anche il veterinario può specializzarsi seguendo dei Master Online oppure proseguire gli studi con un corso di specializzazione.   Quali sono le specializzazioni in veterinaria?  Le specializzazioni in veterinaria in Italia sono classificate dal MIUR in tre classi diverse, ognuna delle quali è legata ad un corso di specializzazione.   La prima classe è quella della sanità animale, nella quale sono incluse specializzazioni che riguardano l’allevamento, le produzioni zootecniche, le patologie degli animali, la patologia suina, la clinica bovina e la Medicina e Chiurgia del Cavallo.  Nella seconda classe è quella dell’igiene produzione, trasformazione, commercializzazione, conservazione e trasporto degli alimenti di origine animale e loro derivati. Questa classe include le specializzazioni in ispezione degli alimenti di origine animale, igiene e controllo dei prodotti di pesca, igiene e tecnologia delle carni, igiene e tecnologia del latte e i derivati.  Infine, troviamo la classe dell’igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche che presenta percorsi di specializzazione tra i quali troviamo: allevamento, igiene, patologia delle specie acquatiche; tecnologia e patologia delle specie avicole; alimentazione animale e miglioramento genetico degli animali domestici. ...

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Quali sono i sintomi dei disturbi neurologici funzionali?

Quali sono i sintomi dei disturbi neurologici funzionali?

Quali sono i sintomi dei disturbi neurologici funzionali? Quando si parla di disturbo neurologico bisogna sempre pensare che questi possono presentare dei sintomi evidenti. Tra quelli principali, troviamo i disturbi del movimento e quelli sensoriali che riguardano il sistema nervoso. Entrambe le tipologie di sintomi compromettono le normali attività quotidiane dell’individuo che ne soffre, in quanto possono risultare debilitanti. Tra i sintomi principali dei disturbi neurologici funzionali troviamo la forte debolezza, tremori, paralisi agli arti, perdita di sensibilità, convulsioni, cecità, allucinazioni e crisi epilettiche, queste ultime attribuibili a disturbi motori funzionali (o movement disorders). Sebbene siano molto spiacevoli, i sintomi possono mettere subito in allerta il soggetto o i suoi familiari, in modo da poter intervenire immediatamente, recandosi dal medico specialista per una diagnosi. Come vengono diagnosticati i disturbi neurologici funzionali? La diagnosi viene effettuata tramite l’anamnesi del paziente, alla quale segue un esame per determinare se questi sintomi sono effettivamente collegabili a un disturbo neurologico, oppure si tratta semplicemente di casi di somatizzazione. Quando l’esame stabilisce che un soggetto soffre di un disturbo neurologico funzionale, si procede con il prescrivere la psicoterapia o una terapia cognitivo comportamentale. Nel secondo caso invece, i sintomi possono dipendere da un periodo estremamente stressante che l’individuo sta vivendo, così come da un trauma. Ad esempio, alcune persone in periodi di forte stress vengono afflitte da una costante debolezza, così come da fastidi a livello corporeo come nodi alla gola, tic nervosi e dolori. In questo caso si parla anche di disturbo di conversione, in quanto il disturbo mentale può essere convertito dal paziente in un disturbo fisico. Ci sono anche malattie neurologiche per le quali non esiste una cura, come ad esempio la malattia di Parkinson. I pazienti affetti dal Parkinson soffrono di un costante tremore anche a riposo, rigidità, lentezza e diminuzione dei movimenti, il Morbo di Parkinson è una malattia neurologica degenerativa che colpisce persone dai 40 agli 80 anni di età. Lo studio dei disturbi neurologici funzionali Solitamente, per studiare i disturbi neurologici funzionali occorre iscriversi all’università di medicina e specializzarsi in psichiatria. Molti neolaureati continuano gli studi con un master, oppure con un dottorato di ricerca. E a proposito di ricerca, in Italia gli studi sui disturbi neurologici funzionali. Secondo il gruppo di ricercatori, i disturbi caratterizzati da sintomi di natura motoria o sensitiva non causati da danni organici o malattie, possono essere legati all’effetto placebo e nocebo. L’effetto placebo avviene quando un paziente avverte benefici da una cura che non ha alcun tipo di proprietà effettiva. Ad esempio, un paziente può assumere un farmaco che non ha alcun effetto sul suo disturbo, ma sentirsi meglio, perché “crede” che il farmaco sia efficace. Al contrario, l’effetto nocebo è praticamente la realizzazione che un farmaco inefficace sia effettivamente inutile, portando il paziente in uno stato di angoscia e sofferenza, in quanto può credere che non ci sia alcun rimedio per la sua condizione. Secondo il team di ricercatori coordinato da Mirta Florio e il docente di neurologia Michele Tinazzi, l’effetto nocebo possono aggravare i sintomi, in quanto l’ansia del paziente cresce portando disturbi motori e sensoriali. Paura, ansia e stress sono condizioni molto comuni nei pazienti affetti da sintomi a causa dell’effetto nocebo, quindi è possibile intervenire a livello comunicativo. Ad esempio, un medico può cercare di creare le giuste aspettative nel paziente, cercando di ridurre l’impatto delle aspettative negative. La terapia cognitivo comportamentale I soggetti che soffrono di sintomi da disturbo neurologico funzionale duraturi e costanti, si rivolgono ad uno psicoterapeuta cognitivo comportamentale che può aiutare a gestire le emozioni intense derivate dall’ansia, lo stress o il senso di colpa. La psicologia cognitivo comportamentale si approccia al paziente, cercando di individuare a causa dei disturbi nei comportamenti e nei pensieri quotidiani. La terapia comportamentale quindi, aiuta il paziente a trovare nuovi modi di reagire alle situazioni difficili, attraverso esercizi mentali e fisici che permettono di rilassarsi e prendere decisioni. La terapia cognitiva invece, scava nei pensieri del paziente, cercando quelli ricorrenti e individuando schemi di ragionamento o di interpretazione della realtà. A livello mentale, molti pazienti possono trovarsi in difficoltà e soffrire di stress quando magari un suo schema di ragionamento o di visione del mondo viene sconvolto, non necessariamente da avvenimenti traumatici, ma anche da semplici cose che succedono nella vita quotidiana. Proprio il fatto che la terapia cognitivo comportamentale si concentri sul “qui ed ora”, permette di sfruttare tutte le risorse del paziente, permettendogli di individuare il modo giusto di affrontare le situazioni. Lo psicoterapeuta può suggerire delle strategie, senza però ricorrere ad un analisi costante degli avvenimenti passati. Allo stesso modo, questo tipo di terapia è solitamente a breve termine, quindi i terapeuti solitamente cercano di ottenere buoni risultati dai pazienti in poco tempo. Offerta formativa che ti potrebbe interessare Se anche tu vuoi formarti come esperto di Psicologia e Salute, non dimenticare di iscriverti a Euroinnova Formazione! 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Quale attività è fondamentale per la sicurezza informatica 

Quale attività è fondamentale per la sicurezza informatica

Quale attività è fondamentale per la sicurezza informatica  La sicurezza informatica consiste in una serie di sistemi e controlli per la salvaguardia dei dati o di una rete stessa. Ultimamente, questo campo è diventato molto importante, in quanto ormai la maggior parte dei dati viene salvata su dei server collegati ad internet, chiamati cloud.   A cosa serve il cloud su Internet? Questo sistema permette di salvare grosse quantità di dati, di velocizzare le procedure e di eliminare quasi del tutto l’utilizzo della carta. Il risvolto della medaglia è che i server sono vulnerabili ad attacchi e intrusioni da parte di hacker che potrebbero causare danni ingenti.  Il problema non riguarda solo le aziende, ma anche siti web, banche e piattaforme. Un hacker potrebbe entrare nella rete di un social network e rubare dati sensibili di migliaia di utenti, o magari provare a estrarre soldi dal conto, hackerando il sistema di home banking di una determinata banca.  I rischi sono molteplici, proprio per questo chi lavora nella sicurezza informatica deve ricorrere a una serie metodi di controllo. In realtà gli hacker non sono l’unica minaccia, infatti ad un livello di rischio minore troviamo i vari virus che si aggirano per il web. Questi possono risultare un problema anche per i sistemi ad uso privato come PC, smartphone, tablet e anche console di gioco.  Prima che internet diventasse di uso comune, la sicurezza informatica riguardava solo ed esclusivamente gli utenti di computer come PC e Mac. Adesso, dato che tutti i dispositivi sono connessi ad internet, il rischio di virus è diventato più elevato.  Le regole della sicurezza informatica  Le parole sicurezza e informatica fanno subito venire in mente agli antivirus, programmi in grado di proteggere i PC da file sospetti e potenzialmente pericolosi, così come salvaguardare i dati salvati sui server e sui dischi rigidi o SSD.   Ci sono diversi antivirus di ottima qualità sul mercato che offrono abbonamenti alle aziende con particolari funzioni avanzate. Tra questi troviamo McAfee e il Norton. Per quanto riguarda gli utenti privati, quelli che utilizzano il sistema operativo Windows 10, possono avvalersi del Windows Defender che negli anni è diventato un buon sistema di sicurezza.  Norme sulla sicurezza informatica Oltre all’antivirus però, ci sono delle regole di base da seguire, per un utilizzo sicuro del proprio PC. Ad esempio, aziende e privati dovrebbero sempre avere un backup dei propri dati sensibili. I file più importanti si possono salvare su server secondari o su memorie esterne, in modo da avere sempre una copia in più.   Per quanto riguarda il web, è molto importante cercare di non scaricare file da siti sospetti. I file più pericolosi sono gli eseguibili, ovvero quelli che terminano con .exe. Questi file non andrebbero mai scaricati, se non dai siti ufficiali di software.   Sugli smartphone e i tablet, il discorso varia in base al sistema operativo. In generale, i dispositivi iOS sono più sicuri, in quanto consentono il download di app verificate. Android è un sistema operativo più versatile, quindi da una parte permette di scaricare e usare svariate app, dall’altro mostra il fianco a potenziali virus e file dannosi.  Le password e le autenticazioni sono fondamentali per la sicurezza IT Per prevenire intrusioni di terzi nei propri account, la sicurezza informatica prevede l’uso di password complesse, diverse per ogni account. Questo permette di prevenire attacchi di phishing, ovvero l’estrazione di dati sensibili come indirizzo, nome, cognome e in alcuni casi anche numeri di carte di credito o altro. Oltre alla password è possibile abilitare autenticazioni multiple, come ad esempio l’uso di più password unite al riconoscimento vocale, o all’impronta digitale. Occorre inoltre, conoscere le normative per il trattamento dei dati personali, per evitare di esporre i propri dati sensibili a siti sospetti.  Chi si occupa della sicurezza informatica?  Come abbiamo visto, la sicurezza informatica può essere applicata da tutti. In ambito professionale però, la sicurezza informatica viene gestita dai programmatori dei software come antivirus e sistemi di sicurezza, così come dal Cyber Security Analyst. Questa figura è il responsabile della sicurezza digitale in azienda e si occupa della protezione dei dati e della prevenzione da eventuali minacce.   Il Cyber Security Analyst è solitamente un laureato in informatica o in ingegneria informatica che si aggiorna e si specializza tramite Master in sicurezza informatica. In alcuni casi, il Cyber Security Analyst si occupa anche della manutenzione dei PC e del server dell’azienda o di una determinata sede.   La sicurezza informatica: dalla fantascienza alla realtà  Il termine Cyber Security richiama al sottogenere letterario “cyberpunk”, creato da diversi scrittori, tra i quali troviamo nomi importanti come William Gibson e Bruce Sterling. Nel romanzo “manifesto” del cyberpunk, il Neuromante di William Gibson, pubblicato nel 1984, le persone possono entrare nel cyberspazio, una sorta di unione tra la realtà virtuale e internet.   Il cyberspazio viene usato dalle corporazioni per rubare dati e anche per assassinare persone, tramite virus in grado di mandare in cortocircuito gli impianti cibernetici degli hacker nemici connessi.   La realtà odierna non è poi così diversa da quella predetta da Gibson, basta pensare ai cyberattacchi ai siti governativi. Internet può diventare un’arma, per questo la sicurezza informatica di questi tempi, diventa ancora più importante. ...

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Dieta e il benessere: la differenza tra dietologo e nutrizionista 

Dieta e il benessere: la differenza tra dietologo e nutrizionista 

Dieta e il benessere: la differenza tra dietologo e nutrizionista  La differenza tra dietologo e nutrizionista è abbastanza sottile. I dietologi e i nutrizionisti hanno una formazione diversa e di conseguenza si tratta di due figure professionali ben distinte. Nello specifico, il dietologo ha conseguito una laurea triennale in medicina e chirurgia, con specializzazione in scienze dell’alimentazione. Il nutrizionista invece è un laureato in altre materie, come ad esempio biologia, che in seguito si è specializzato in nutrizione.   Il dietologo quindi, può effettuare diagnosi, studiando il quadro clinico generale del paziente. Il fine ultimo è quello di scoprire eventuali disturbi o malattie dell’alimentazione, in modo da poterle curare attraverso una dieta e dei farmaci. Il dietologo quindi è una figura maggiormente legata al campo della medicina e a quello farmacologico.    Il dietologo, dottore in nutrizione D’altra parte, il dietologo può prescrivere farmaci, ma in generale non si occupa di personalizzare le diete o le terapie alimentari, a differenza del nutrizionista. Un nutrizionista, può elaborare diete personalizzate dopo determinati esami. In generale, il nutrizionista è una figura molto ricercata, in quanto organizza piani alimentari individuali a seconda delle esigenze del singolo individuo, basandosi sulla sua massa corporea e sul rapporto altezza-peso.   Se però per diventare dietologi occorre essere laureati in medicina, per specializzarsi in nutrizione è sufficiente seguire un percorso di studi di due anni in scienze dell’alimentazione. A questo corso però, possono accedere solo biologi, farmacisti e dietisti. Per questo, nel campo della nutrizione si trovano figure come il biologo nutrizionista e il farmacista nutrizionista.   Dietisti e nutrizionisti lavorano a stretto contatto Il nutrizionista, non può prescrivere farmaci, infatti solitamente non è la figura indicata per persone che soffrono di patologie alimentari. Il nutrizionista può eventualmente scoprire se un suo paziente soffre di una determinata patologia, ma deve poi lavorare in collaborazione con un dietologo che potrà proporre una terapia specifica.  Nutrizionisti e dietologi possono inoltre specializzarsi ulteriormente, seguendo Master specifici che permettono loro di ottenere una maggiore conoscenza, ad esempio nell’alimentazione corretta per determinati sport e tanto altro.    Quale figura professionale scegliere per la propria dieta?  Come abbiamo visto, il dietologo e il nutrizionista sono figure professionali molto diverse. In generale, se non si soffre di patologie alimentari e si vuole semplicemente dimagrire, allora la figura del nutrizionista è quella più indicata.   La possibilità di seguire un regime alimentare personalizzato senza rischi per il proprio benessere psicofisico, attrae molte persone, anche chi non è in sovrappeso. Sono molti gli sportivi (anche professionisti) ad essere seguiti da un nutrizionista, proprio per poter dare il massimo nella loro disciplina, raggiungendo la migliore forma fisica possibile.   Il dietologo è più indicato per chi invece deve seguire un regime alimentare particolare, combinato ad cura a base di farmaci, o magari vuole una diagnosi completa del proprio corpo, per scoprire eventuali disturbi.   Bisogna però tenere conto che nutrizionista e dietologo non fanno miracoli, in quanto la maggior parte del lavoro va fatto a livello personale. Seguire una dieta, specialmente all’inizio può risultare un’impresa più difficile del previsto, in quanto si devono in qualche modo stravolgere le proprie abitudini alimentari.   Per la perdita di peso, il nutrizionista può consigliare di fare sport, o quantomeno un po’ di movimento, specialmente a persone che conducono uno stile di vita troppo sedentario.  Educazione alimentare per uno stile di vita sano  Nel ventunesimo secolo, la cura della forma fisica ha assunto un ruolo molto importante nella società. Il desiderio di mantenere il proprio peso forma ed evitare di ingrassare, nasce sia dall’influenza dei media e dei social media, sia ovviamente dalla cura della propria salute.  Il cinema e la televisione hanno imposto dei canoni di bellezza per l’uomo e per la donna che lentamente stanno venendo sostituiti, con un progressivo allontanamento da alcuni stereotipi. In realtà però, la mania per il fitness e per le diete ha preso piede con l’esplosione dei social media.   Questo ha ovviamente portato ad una maggiore attenzione per il proprio corpo, sia negli uomini, sia nelle donne. Chiaramente, questo non è necessariamente un male, se la dieta e la cura del corpo vengono seguite da un esperto.   Stili di vita sedentari e loro rapporto con la vita moderna Gli adulti sono spesso costretti ad uno stile di vita sedentario tra l’ufficio e la propria abitazione, oltretutto si trovano ad affrontare un metabolismo decisamente diverso, rispetto a quello di quando erano giovani. Per questo molti si rivolgono al nutrizionista o al dietologo, in modo da poter affrontare una dieta sana, senza però rinunciare al corretto apporto energetico, necessario per affrontare la vita di tutti i giorni.   L’educazione alimentare si rivela estremamente importante, non solo per il proprio aspetto esteriore, ma anche per la propria salute. Ovviamente, non è detto che tutte le persone si sentano a proprio agio in un corpo magro, ma di sicuro essere costantemente in sovrappeso può portare ad eventuali patologie fisiche, specialmente con il passare degli anni.   Per questo dietologi e nutrizionisti, sono figure molto importanti, in quanto possono aiutare ad avere un rapporto più sano con il proprio corpo e con il cibo.  ...

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Dolore cronico: sintomi

Dolore cronico: sintomi

Il dolore è una risposta fisiologica che il corpo umano attiva per segnalare un problema o un danno tissutale. Tuttavia, quando il dolore persiste per periodi prolungati, parliamo di dolore cronico. Questo fenomeno può influenzare profondamente la vita del paziente, coinvolgendo aspetti fisici, emotivi e sociali. Il dolore cronico, persistente per periodi prolungati oltre i sei mesi, presenta sintomi diversificati. Tra i principali: Persistenza del Dolore: Perenne nel tempo, il dolore cronico può essere costante o intermittente. Variazioni d'Intensità: Fluttua in base a fattori come attività fisica, stress o condizioni ambientali. Affaticamento: La gestione continua del dolore può provocare stanchezza cronica. Disturbi del Sonno: Spesso collegato a insonnia o disturbi notturni. Alterazioni dell'Umore: Può generare irritabilità, ansia o depressione. Difficoltà nelle Attività Quotidiane: Ostacola azioni come camminare o sollevare oggetti. Limitazioni Funzionali: Riduce la capacità di svolgere attività fisiche e sociali. Problemi di Concentrazione e Memoria: Influisce su memoria e capacità cognitive. È importante sottolineare che il dolore cronico è un'esperienza soggettiva, e i sintomi possono variare notevolmente da persona a persona. Inoltre, i sintomi possono essere influenzati da fattori psicologici e sociali, rendendo il dolore cronico una condizione complessa che richiede un approccio multidisciplinare nella gestione e nel trattamento. Se lavori o se desideri lavorare nell’ambito socio-sanitario potrebbe interessarti il Master di I Livello in Formazione dell´educatore Sociosanitario, in questo modo approfondirai aspetti assistenziali e clinici della gestione del dolore. Concetto di dolore cronico Il dolore cronico è un'esperienza dolorosa persistente che può protrarsi per settimane, mesi o addirittura anni. A differenza del dolore acuto, che è una risposta immediata a un danno tissutale o a una malattia, il dolore cronico può persistere anche quando la causa iniziale è stata risolta. Questa condizione coinvolge il sistema nervoso centrale, che può interpretare e amplificare il segnale di dolore in modo anomalo. Identificare le cause sottostanti del dolore cronico , gestire i sintomi e migliorare la qualità della vita del paziente sono obiettivi fondamentali del trattamento. Inoltre, è importante coinvolgere il paziente in un percorso di cura attivo, educandolo sulle strategie di autogestione e promuovendo un sostegno continuo da parte di un team multidisciplinare. Affrontare il dolore cronico richiede pazienza, impegno e una comprensione approfondita delle sfide che i pazienti affrontano quotidianamente. Cause del dolore cronico Le cause del dolore cronico possono essere molteplici e complesse. Alcuni dei fattori principali includono: Dolore Neuropatico: Derivante da danni ai nervi, il dolore neuropatico può essere causato da patologie come il diabete, l'herpes zoster o lesioni nervose. Disturbi del Sonno: Il dolore cronico può interferire con la qualità del sonno, contribuendo a un circolo vizioso in cui la mancanza di riposo influisce negativamente sulla percezione del dolore. Aspetti Psicologici e Sociali: Stress, ansia e depressione possono contribuire al dolore cronico o essere esacerbati da esso. Inoltre, l'isolamento sociale può influire negativamente sulla gestione del dolore. Attività Quotidiane: Il dolore cronico può limitare la capacità di svolgere attività quotidiane, compromettendo la qualità della vita e portando a un ciclo di inattività che può peggiorare la condizione. Se ti interessa l’ambito, prova a dare un’occhiata al Master I Livello in Il Piede Diabetico proposto da Euroinnova, leader nell’insegnamento e nella formazione a distanza. Il corso in questione include un interno modulo dedicato alla gestione del dolore cronico. Iscriviti subito! Caratteristiche e sintomi del dolore cronico Il dolore cronico può manifestarsi in diverse forme e intensità. Alcuni dei sintomi più comuni includono: Dolore costante: Il sintomo principale è la persistenza del dolore per periodi prolungati, spesso superando i sei mesi. Variazioni dell'Intensità: Il dolore cronico può variare in intensità nel corso della giornata, influenzato da fattori come l'attività fisica, lo stress e le condizioni ambientali. Affaticamento: La gestione costante del dolore può portare a una sensazione di stanchezza e affaticamento cronico. Disturbi del Sonno: Il dolore cronico è spesso associato a difficoltà nel dormire o al risveglio frequente durante la notte. Impatto Emotivo: Può causare irritabilità, ansia, depressione e alterazioni dell'umore. Alcuni trattamenti del dolore cronico Il trattamento del dolore cronico spesso richiede un approccio multidisciplinare, coinvolgendo diverse discipline mediche. Alcuni degli approcci terapeutici includono: Farmaci: Vengono prescritti farmaci per gestire il dolore, tra cui analgesici, antiinfiammatori, anticonvulsivanti e antidepressivi. Fisioterapia: L'esercizio fisico mirato può aiutare a migliorare la funzionalità e ridurre il dolore cronico. Terapie Cognitive-Comportamentali: Queste terapie mirano a cambiare i modelli di pensiero e comportamento associati al dolore, aiutando il paziente a gestire meglio la condizione. Interventi Psicologici: La consulenza psicologica può essere utile per affrontare gli aspetti emotivi del dolore cronico e migliorare la qualità della vita. Trattamenti Complementari: Tecniche come l'agopuntura, la terapia occupazionale e la terapia occupazionale possono essere integrate nel piano di trattamento. Nel contesto della terapia del dolore, diverse figure professionali collaborano per fornire un trattamento completo e personalizzato. Alcune di queste figure includono: Medico Specializzato in Medicina del Dolore Psicologo Clinico Fisioterapista Terapista Occupazionale Neurologo Farmacista Clinico Infermiere Specializzato in Terapia del Dolore Specialisti in Medicina Complementare e Alternativa L'approccio multidisciplinare coinvolge la collaborazione tra queste figure professionali per garantire un trattamento completo, considerando sia gli aspetti fisici che quelli psicologici del dolore cronico. Offerta formativa che ti potrebbe interessare Se anche tu vuoi formarti come esperto di Medicina e Salute, non dimenticare di iscriverti a Euroinnova Formazione! MASTER ASSISTENZA INFERMIERISTICA COMPLETA MASTER LASER: Master Laserologia. Tecnologia Laser in Medicina, Chirugia e Odontoiatria. ...

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Come si comporta un tossicodipendente? Qual è la personalità di un tossicodipendente?

Come si comporta un tossicodipendente? Qual è la personalità di un tossicodipendente?

Le droghe creano dipendenza e quando una persona ha una dipendenza da una sostanza stupefacente si creano conseguenze che hanno un impatto notevole sulla sua salute e sul suo stile di vita che ne risulta compromesso. Le droghe quindi fanno parte della routine quotidiana di un tossicodipendente e per questo interrompere questa abitudine è piuttosto complesso e per niente immediato. L’abuso di droghe e di alcool comporta infatti danni sulla mente e sul fisico di una persona tanto da pregiudicarne adeguate condizioni di vita. Inoltre, il comportamento di un tossicodipendente muta in base alle fasi: La fase di assunzione della droga in cui la persona si sente in estasi, invincibile e rilassata E la fase di astinenza in cui il tossicodipendente sente l’estremo bisogno fisico e mentale di assumere una dose e comincia a provare sofferenza. La persona in astinenza si sente in ansia, può andare in crisi se non ha le droghe a portata di mano o se ha difficoltà nel reperirle, può cominciare a sudare molto e il battito cardiaco può accelerare considerevolmente. Questi sintomi hanno chiaramente un impatto sul comportamento e sulla personalità della persona: sbalzi d’umore, momenti di iperattività seguiti da momenti di apatia, sonnolenza, calo dell’appetito, irritabilità… Conseguenze del consumo di droga Queste situazioni hanno chiaramente un grande impatto sullo stile di vita della persona e possono portare a: Problemi sul posto di lavoro Disoccupazione Cattiva gestione delle finanze Indebitamento Mancanza di cura personale e sanitaria Isolamento sociale Rottura dei rapporti con amici e parenti Mancanza di interessi Scarsa autonomia Disturbi del sonno Incapacità nel prendere decisioni ponderate Depressione Violenza Avvicinamento negativo con altri tossicodipendenti Si riscontrano però diversità nei comportamenti a seconda del tipo di droga usata. Ci sono infatti differenze di personalità individuali tra i farmaci che vengono utilizzati. Per esempio chi fa uso di eroina tende ad essere fortemente emotivo a tal punto da rifugiarsi nuovamente nella droga per smettere di provare sofferenza, mentre il tossico dipendete da cocaina tende ad essere altamente irritabile e muore dalla voglia di cercare subito un’altra dose appena entra nella fase di astinenza. Quali sintomi prova un tossicodipendente? La tossicodipendenza è una vera e propria malattia che peggiora nel tempo e che genera dipendenza in chi ne è affetto. Che la colpa sia attribuita ad abuso di alcool, droghe o farmaci i sintomi di un tossicodipendente sono generalmente i seguenti: Occhi rossi Sguardo vitreo Occhiaie e stanchezza dovuti a deprivazione e/o disturbi del sonno Drastica diminuzione del peso corporeo Guance incavate Nausea Sonnolenza Sensazione di prurito Vomito Intossicazione E questi sono solo i sintomi fisici, quelli visibili. Esistono infatti altri sintomi di natura comportamentale e psicologica: Allucinazioni Aggressività Ansia Apatia Desiderio di isolarsi Depressione Nevrosi Psicosi Sbalzi d’umore E questi sono solo alcuni dei sintomi che possono coesistere e peggiorare nel tempo. Per questo motivo è fondamentale che la persona tossicodipendente sia seguita da centri di assistenza specialistici e che riceva il giusto supporto per uscirne per tornare a vivere meglio. In questo modo migliorerà la sua qualità di vita e quella di chi gli sta attorno. Volete saperne di più sulla tossicodipendenza? Se ti interessa l’ambito della tossicodipendenza potresti dare un’occhiata ai master online di Euroinnova. Questo leader della formazione a distanza propone infatti un’ampia gamma di corsi di formazione (non solo in ambito di Medicina e Salute) tra cui potrai scegliere. Potrai ad esempio iscriverti e seguire un master in trattamento e tecniche di disintossicazione. In questo corso, analizzerai i sintomi, i comportamenti e le caratteristiche dei vari tipi di tossicodipendenze e scoprirai quali sono le modalità a disposizione per aiutare un tossicodipendente ad alleviare i sintomi e a farlo intraprendere un percorso per tornare pulito e sobrio. Come aiutare un tossicodipendente a ridurre i sintomi? Tuttavia, aiutare un tossicodipendente a stare meglio e quindi a ridurre i sintomi che poi lo porteranno verso un percorso di sobrietà può essere un’azione per niente banale. Le droghe creano dipendenza ed è complesso interrompere una dipendenza, senza contare che farlo in maniera improvvisa è quasi peggio. Per questo motivo è necessario che un tossicodipendente abbia il supporto di: Famigliari e amici Centri per tossicodipendenti Comunità di recupero Psicologi Assistenza tramite terapie di gruppo Percorsi di riabilitazione e di reinserimento sociale Medico di fiducia I tossicodipendenti devono quindi essere sempre seguiti per evitare che ricadano nei vecchi schemi e nelle vecchie abitudini, soprattutto quando c’è un abuso di droghe pesanti come l’uso di eroina. Oltre a questo non bisogna mai sottovalutare né lasciare solo un ex-tossicodipendente: è fondamentale che questa persona venga sempre seguita, anche chi ne è uscito, perché la maggior parte di coloro che hanno sofferto di tossicodipendenza possono avere una ricaduta in particolare nei primi anni dopo aver cominciato o concluso un percorso di disintossicazione. I centri di assistenza mettono a punto non solo dei programmi di recupero per coloro che soffrono attualmente di una dipendenza da droghe, ma anche programmi di controllo continuo per coloro che ne sono usciti da poco o da molto tempo. Offerta formativa che ti potrebbe interessare Se anche tu vuoi formarti come esperto di Medicina e Salute, non dimenticare di iscriverti a Euroinnova Formazione! MASTER ASSISTENZA INFERMIERISTICA COMPLETA MASTER LASER: Master Laserologia. Tecnologia Laser in Medicina, Chirugia e Odontoiatria. ...

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Cosa si fa durante la terapia del dolore? 

Cosa si fa durante la terapia del dolore? 

La terapia del dolore o terapia antalgica consiste nel riconoscere e trattare qualsiasi forma di dolore di tipo cronico, in modo da poter migliorare la qualità della vita del paziente. La medicina del dolore si basa su diversi classe di farmaci che possono variare in base all’origine, alla natura e all’intensità del dolore. Oltre a quella farmacologica, troviamo la terapia fisica e riabilitativa, quella interventistica e quella psicologica. Prima di tutto, occorre stabilire la sintomatologia dolorosa del paziente, per capire da cosa deriva. In generale, si definisce il dolore come un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole, dividendolo in tre tipi diversi: cronico, acuto e da procedura Che cos'è il dolore cronico e come influisce su una persona? Quello cronico persiste nel tempo e può risultare debilitante per il paziente, al punto da interferire con la sua vita quotidiana. Il dolore cronico può causare danni sociali ed economici ai pazienti, in quanto possono ritrovarsi impossibilitati a svolgere attività lavorative, hobby o magari anche solo una semplice passeggiata all’aperto. I dolori di tipo cronico vengono attribuiti a tumori, a neuropatologie o a patologie degenerative di vario tipo. In alcuni casi infatti, la medicina del dolore si configura in cure palliative per alleviare la sofferenza di un paziente, anche quando nella fase terminale di un tumore, per il quale ormai non c’è più niente da fare. Si tratta quindi di un argomento molto sensibile in campo medico, in quanto coinvolge anche la sfera emotiva di un paziente e della sua famiglia. Ci sono operatori sanitari specializzati con master in cure palliative e terapie del dolore. Le varie categorie della terapia del dolore La terapia farmacologica è la terapia più comune, in quanto ci sono diverse tipologie di farmaci che si possono somministrare al paziente, in modo da cercare di alleviare il dolore. Tra questi troviamo gli analgesici, gli anticonvulsivanti e gli antidepressivi. Ai farmaci analgesici si aggiungono spesso i FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei) che vengono usati solo quando il dolore è di grado lieve o moderato. Gli oppioidi Gli analgesici oppioidi invece si somministrano quando il dolore è moderato o grave. Chiaramente, questa terapia basata sui farmaci può avere degli effetti collaterali causati dagli stessi, ma si rivela comunque indispensabile per il dolore cronico. Farmaci cannabinoidi Per la terapia del dolore sono previsti in alcuni casi anche i farmaci cannabinoidi. L’uso terapeutico della marijuana viene strettamente regolamentata e solitamente si ricorre a questo metodo solo quando altri farmaci si sono rivelati inefficaci, o magari non riescono più a tenere sotto controllo il dolore cronico del paziente. Antidepressivi Per quanto riguarda gli antidepressivi, questi possono essere impiegati nella terapia del dolore, quando questo è neuropatico. Allo stesso modo, per i dolori neuropatici si possono usare gli anticonvulsivanti. Terapia fisica Passando alla terapia fisica, questa può essere fatta in combinazione con quella farmacologica, in modo da permettere al paziente di alleviare il dolore anche attraverso degli esercizi fisici o dei massaggi. Solitamente, gli esercizi più consigliati implicano l’allungamento e la mobilizzazione articolare, mentre in alcuni casi si ricorre anche ad esercizi per rafforzare la muscolatura. In generale, la terapia fisica si consiglia solo quando il dolore cronico interessa un arto o una parte del corpo in particolare. Oltre alla terapia fisica, a quella farmacologica si associano spesso le terapie occupazionali e quelle cognitivo-comportamentali. Questo perché un paziente con un dolore cronico può avere grandi difficoltà a svolgere le attività quotidiane. La terapia occupazionale quindi può migliorare le capacità di un individuo, per permettergli di tornare ad una vita senza troppi impedimenti. Nella terapia occupazionale si insegnano al paziente delle tecniche per gestire il dolore, oppure si può fare uso di dispositivi di assistenza. Lo smart working si è rivelata una buona soluzione per molte persone con dolori cronici, in quanto possono svolgere il proprio impiego senza doversi sforzare di uscire di casa. Gestire il dolore in un ambiente familiare come la propria abitazione è molto più semplice che farlo in un ufficio. L'importanza della salute mentale nel dolore cronico Dato che il dolore cronico può affliggere negativamente anche l’emotività di una persona, la terapia cognitivo-comportamentale si rivela fondamentale. Non è raro che un paziente con un dolore cronico cada in depressione, per questo uno psicologo può rivelarsi molto utile. Il pensiero positivo, la capacità di gestire del dolore attraverso diverse strategie, può portare anche a una riduzione dello stesso. D’altronde, la mente umana influisce tantissimo sul corpo, quindi un paziente che si fissa sul dolore non farà altro che farlo aumentare. Va detto che le reazioni al dolore cronico e alle conseguenti terapie possono variare da individuo a individuo, per questo il medico o gli esperti del campo devono sempre considerare il carattere della persona, la patologia che ha scatenato il dolore cronico e la metodologia da seguire per alleviarlo. 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